17 novembre: la scuola e l’università in piazza DALLA PADELLA ALLA BRACE
17 novembre: la scuola e l’università in piazza
DALLA PADELLA ALLA BRACE
La privatizzazione dell’istruzione sulla pelle dei lavoratori e degli studenti
di Fabiana Stefanoni
QUANTO COSTA AVERE MILLE EURO AL MESE…
Dopo decenni di politiche bipartisan volte a trasformare gli atenei in istituti privati, siamo giunti all’atto finale. L’università statale sta per scomparire ed è scritto nero su bianco nel disegno di legge varato a fine ottobre dal Consiglio dei ministri e in discussione alle Camere. Scoprire la differenza tra un ateneo e una catena di supermercati sarà cosa ardua: ogni università statale avrà un suo consiglio di amministrazione (con tanto di direttore generale) che, badate bene, dovrà, per legge, essere sgombro da studiosi e docenti (eccezion fatta per il rettore): ciò che serve per farne parte è “una comprovata competenza in ambito gestionale”. In altre parole, dovrà essere costituito da manager, che nulla hanno a che fare con l’attività didattica, magari riciclati dai consigli di amministrazione di aziende private. E quali sono i criteri di gestione a cui il consiglio dovrà ispirarsi? “semplificazione, efficienza ed efficacia”. Possiamo immaginare come questi manager, ispirati da tanto altri principi, avranno a cuore la qualità della ricerca e della didattica.
Sulle spalle dei ricercatori e del personale amministrativo si riverserà il taglio delle risorse a cui il decreto legge dà attuazione. Sono centinaia di migliaia i ricercatori che, con borse di studio miserrime e senza contratto di lavoro (è il caso dei dottorandi e degli assegnasti) o con stipendi da fame (poco più di mille euro al mese, come nel caso dei ricercatori), portano avanti le attività didattiche e di ricerca nelle università italiane. E’ un esercito di professionisti sottopagati che fino a poco tempo fa avevano, come unica ambizione, quella di riuscire a conseguire un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ora, questa ambizione possono gettarla nel cestino della spazzatura: i contratti di ricercatore saranno solo a tempo determinato e non rinnovabili dopo due volte.
A tutto questo va aggiunto il blocco del turn over e, soprattutto, il fatto che le università che si ritiene abbiano una spesa troppo elevata non potranno effettuare nuove assunzioni di personale, docente o non docente. Sono previste, infine, fusioni tra università diverse e accorpamenti tra i dipartimenti che porteranno a una riduzione del personale, soprattutto amministrativo, e all’impossibilità di fatto di assumere nuovi docenti. A quelli rimasti, ricercatori sottopagati a tempo determinato inclusi, sarà imposto l’obbligo di effettuare ore di lezione e di “servizio” e, soprattutto, verranno tolti gli scatti stipendiali se non daranno prova di efficienza e produttività.
Visto il quadro, disgustano non poco le parole del ministro che afferma che la cancellazione dei contratti a tempo indeterminato per i ricercatori è “una grande opportunità per i giovani”. Altrettanto disgustoso è sentire che questa “riforma” viene presentata come un atto di guerra contro il clientelismo e lo strapotere dei baroni: falsissimo. Per fare un solo esempio, il rinnovo del contratto di ricercatore (rinnovo necessario per sperare di diventare docente a tempo indeterminato) sarà a totale discrezione delle singole università, “che possono procedere alla chiamata diretta dei destinatari”, di fatto senza concorso, né di ateneo né nazionale! Altro che lotta al baronato: piuttosto, ne è l’apoteosi!
…E QUANTO COSTERÀ UNA LAUREA!
Un aspetto decantato dal ministero dell’istruzione è quello che concerne il “pugno di ferro” nei confronti degli atenei in dissesto finanziario, che vedranno decurtati i finanziamenti statali. E’ ovvio – possiamo prevederlo senza ombra di dubbio – che le università che riceveranno la mostrina dal ministero, cioè quelle più efficienti, saranno quelle che avranno assunto nel consiglio di amministrazione i manager più feroci, quelli pronti a far sputare sangue ai dipendenti pur di portare a casa una medaglia in efficienza. E non abbiamo dubbi che la stragrande maggioranza degli atenei compenserà i tagli del ministero con l’aumento delle tasse degli studenti. L’accesso all’università tornerà un privilegio per pochi: i figli dei lavoratori non avranno più la possibilità di conseguire una laurea.
A questo va aggiunto che il decreto legge prevede un “Fondo speciale per il merito”: di fatto si tratta di borse di studio (dette “prestito d’onore”) sul modello statunitense, interamente finanziate da privati (banche, aziende, ecc), erogata indipendentemente dal reddito e con l’impegno dello studente a restituire dopo la laurea la somma prestata. I criteri di assegnazione saranno definiti dai “donatori”: i fortunati prescelti potranno diventare dei “debitori”, probabilmente a vita vista la difficoltà di trovare lavoro.
Per i figli dei lavoratori il sistema capitalistico oggi offre solo ignoranza, disoccupazione, miseria. La distruzione dell’università statale non è che uno dei tanti effetti di un sistema economico e sociale in putrefazione, che gli schieramenti di governo, di tutti i colori, tentano di rianimare: anche nell’università, non a caso, quello che oggi viene completato dal governo delle destre è stato predisposto dai governi di centrosinistra. Se è probabilmente vero che il peggio per i lavoratori deve ancora venire, è anche vero che sta crescendo una nuova generazione di operai, precari, disoccupati e studenti che sta imparando, sulla propria pelle, che capitalismo equivale a miseria.